SETTIMANA I

Ero emozionato.
Stavo per entrare nella prima casa. Nella prima storia. La prima àncora.

Sinceramente non sapevo come avrei gestito gli incontri. Da quando fotografo mi sono abituato ad improvvisare.
La regola che mi sono imposto in realtà è una sola: fotografare con la luce che avrei trovato, qualunque fosse stata.

Scelgo da quale cominciare con un principio semplice: la persona che abita più vicino a dove sono nato.
Da dove è iniziata la mia vita. Quindi, se per l’ennesima volta devo ricominciare, perché non ricominciare proprio da lì?

Suono. Entro. Non sapevo veramente cosa avrei detto o fatto.
Abbiamo cominciato a parlare, abbiamo parlato un bel po’. Intanto, da seduto, mi guardavo in giro per studiare l’ambiente e dove avremmo potuto fare le foto.
Le parole sono state importanti perché all’improvviso mi è apparsa la fotografia in testa.

Ecco, questo è quello è successo da quel momento in poi ogni incontro. Una specie di rituale.
Alcune persone le conosco da tanto tempo, altre di vista o poco più, con altre non c’eravamo mai incontrati fisicamente.
Le parole sono scorse tranquillamente con tutti. Mi raccontano storie di ogni tipo: malinconiche, allegre, di amore, di malattia, di noia, di famiglia, di rabbia,  anche molto intime, al punto da soprendermi. Storie anche molto importanti, per questo mi sento responsabile, ancora di più.
Non sono solo storie, sono vite raccontate a cuore aperto.
Fragili.

Non abbiate paura.

Ne avrò cura.

Questa settimama ho imparato molte cose, tutte diverse: ho imparato che le radici si affidano ai germogli; che camminare è vita; che la luce entra ovunque; che in Corea sono molto poco ordinati; che le palestre si possono intubare; che l’acqua colorata crea forme animate; che è bello avere l’anima spettinata.

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